Quando si parla di musica russa dell'Ottocento, lo si dimentica spesso. Anzi, aggiungo senza remore: lo si ignora. Si parte con Glinka e poi si salta ai Cinque, di cui, però, se ne ricordano solo 3 ("Allora... Musorgskij, Rimskij-Korsakov, Borodin... e gli altri 2?"... il pedante di turno sbotta: "Balakirev e Cui!")
Tra Glinka e i Cinque, c'è lui: Aleksander Sergeevič Dargomyžskij, soprattutto operista. Ma anche ideologo musicale. Sentite che scriveva all'epoca: "I suoni debbono valere come espressione musicale
della viva parola. Io voglio in ogni momento la verità" (tratto da Pestalozza, La
scuola nazionale russa, Milano, Ricordi, 1958, pag. 55.)
Il buon Dargomyžskij punta ad un'opera nazionale russa e la coralità russa tradizionale del popolo è l'elemento centrale di tutta la sua produzione musicale. Tale fulcro diventerà nodale e imprescinbile per la crescita dei Cinque: pensiamo al poema sinfonico di Balakirev, alle sinfonie di Borodin e all'esotismo di Rimskij-Korsakov. L'approccio corale non è solo una questione vocale ma anche di prassi orchestrale, questa la lezione più cogente di Dargomyžskij, il cui erede sarà Musorgskij. Sì, dietro al Boris si nascondono la Rusalka e Il convitato di pietra.
Ma Dargomyžskij ci sapeva fare anche con le comnposizioni strumentali per orcherstra. Lo si era già notato in Rusalka:
Inoltre il compositore fu uno dei primi a dedicare una pagina musicale alla strega Baba Yaga, figura assai popolare dell'immaginario slavo, prima di Musorgskij e Ljadov.
Buona visione e buon ascolto!
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