Dal 1996 ne abbiamo fatta di strada insieme e, anche il modello del corso,
pur non allontanandosi dalle prerogative e prospettive entusiastiche di base,
negli anni ha mutato pelle, affinando sempre di più i campi di interesse
musicale che, come è normale che sia, si sono ampliati, allargati, scavalcando
gli ipotetici steccati di genere.
Il corso del 2017-18, dedicato agli anni Sessanta, ha attivato una vera e
propria svolta che ci ha coraggiosamente spinti a sdoppiare i contenuti dei
corsi in due grandi ali: quello della musica colta, accademica che,
semplificando, chiamiamo “classica” e quello della musica contemporanea di
consumo che gli esperti chiamano “popular music”. Ecco la proposta di scegliere
due figure lontanissime ma che hanno il pregio di farci approfondire il dettato
musicale della loro carriera musicale.
Uno è un musicista, un gigante della temperie romantica ma con una storia
(personale e pubblica) tutta particolare, tanto che a lui certe definizioni di
comodo stanno veramente strette. Mi sto riferendo naturalmente a Felix Mendelssohn
Bartholdy: trattare di lui, significa partire proprio dalla domanda, posta a
titolo del corso (Felix Mendelssohn
Bartholdy: un "classico" romantico o un romantico
"classico"?), non tanto per rispondere, scorgere certezze
classificatorie ma, semmai, cogliere tutta una serie di itinerari stilistici di
sorprendente libertà, al di là del supposto rigore formale (anticipando il
dettato, in Mendelssohn è la regola è rendere liberi e… romantici).
L’altro è un cantautore, genovese, demiurgo di suggestivi mondi poetici,
pur senza essere poeta (e ci ha sempre tenuto a sottolinearlo): Fabrizio De
André. Non musicista, eppure sempre contornato da validissimi musicisti ben
disposti a mettere al suo servizio le loro abilità compositive per rendere
ancora più brillanti i versi delle sue canzoni. Così, nella seconda parte del
nostro corso, De André è soprattutto un pretesto (già lambito lo scorso anno)
per approfondire il valore aggiunto della musica nella canzone d’autore
italiana. De André, in tal senso, è paradigmatico, vista l’ampia schiera di
complici collaboratori (e collaboratori complici) che hanno lavorato agli
arrangiamenti e alle orchestrazioni dei suoi lavori (Reverberi, Piovani, Mimms,
la PFM, Harris, Prudente, Pagani e Milesi).
Sfida interessante, insomma, ma su due binari ben distinti che portano, però, alla medesima stazione: la buona musica. E buona musica a tutti voi. (Riccardo Storti)
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